Ci sarebbe un’alterazione del DNA alla base delle forme più severe di neoplasie mieloproliferative. È quanto emerge da uno studio condotto dal Centro Interdipartimentale di Cellule Staminali e Medicina Rigenerativa (CIDSTEM) dell’Università di Modena e Reggio Emilia, e sostenuto da Fondazione AIRC, i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista Leukemia.
Le neoplasie mieloproliferative sono tumori che colpiscono le cellule staminali del sangue, per le quali non esiste a oggi una cura definitiva. Tra queste patologie sono compresi diversi tumori ematologici, come policitemia vera, trombocitemia essenziale e mielofibrosi primaria. La loro patogenesi è caratterizzata dall’acquisizione di diverse mutazioni, tra cui quella più frequente che colpisce il gene JAK2. Recentemente sono aumentate le evidenze che dimostrano come un’analisi approfondita dell’assetto genetico dei pazienti sia fondamentale per identificare meccanismi molecolari specifici di sviluppo e progressione della malattia. I ricercatori e le ricercatrici sono riusciti a identificare una categoria di pazienti affetti da neoplasie mieloproliferative, il cui profilo genetico è caratterizzato dalla presenza in contemporanea della mutazione del gene JAK2 e dall’amplificazione del cromosoma 9, su cui il gene JAK2 è localizzato.
I risultati ottenuti hanno permesso di dimostrare che la seconda anomalia, di tipo citogenetico, ha un effetto negativo sull’attivazione del sistema immunitario contro la popolazione di cellule tumorali. Inoltre stimola la proliferazione e la persistenza delle cellule staminali emopoietiche neoplastiche, da cui origina e si propaga la neoplasia.
Come ha spiegato la professoressa Rossella Manfredini, responsabile del programma di Genomica e Trascrittomica del Centro di Medicina Rigenerativa dell’Università di Modena e Reggio Emilia e coordinatrice dello studio, «la ricerca ci ha inizialmente permesso di individuare un sottogruppo di pazienti affetti da mielofibrosi. La malattia è in questi casi caratterizzata non solo dalla mutazione del gene JAK2, ma anche dall’amplificazione dello stesso gene, che è per questo presente in molteplici copie. Approfondendo ulteriormente le indagini molecolari, abbiamo scoperto che l’amplificazione genica coinvolge non solo il gene JAK2, ma l’intero braccio corto del cromosoma 9. Questo risultato sottolinea ancora una volta l’importanza di analizzare a fondo l’assetto genetico di ogni singolo paziente oncologico, per identificare meccanismi molecolari che possono essere colpiti con approcci terapeutici specifici, nell’ottica di una medicina di sempre maggiore precisione».